Protocollo di Kyoto e Brasile

protocollo kyoto brasileIn Amazzonia la combustione delle foreste ha assunto proporzioni devastanti: qui gli agricoltori e gli allevatori bruciano indiscriminatamente quantità impressionanti di alberi, al fine di ottenere terreni coltivabili e pascolabili. La minaccia delle fiamme, che possono facilmente sfuggire al controllo umano, rischia di diventare particolarmente seria quando la stagione degli incendi (che si protrae da agosto a settembre) non è seguita dall’attesa stagione delle piogge. La conservazione della foresta pluviale rappresenta pertanto una misura necessaria per contenere l’anidride carbonica, impedendole di raggiungere soglie critiche a livello atmosferico.

Altre fonti di carbonio atmosferico sono rappresentate dai gas di scarico dei veicoli a motore, nonché dai fumi di combustione delle centrali elettriche e degli impianti industriali. Nel 1997, al fine di preservare il pianeta dai cambiamenti climatici, molti paesi industrializzati firmarono il Protocollo di Kyoto, un accordo internazionale in base al quale ciascun paese, entro il 2012, avrebbe dovuto ridurre le proprie emissioni di gas serra del 5% rispetto ai livelli registrati nel 1990. Alcuni dei paesi firmatari si stanno adoperando con decisione al fine di raggiungere l’obiettivo prefissato, mentre per altri (tra cui Canada, Spagna e Giappone) il traguardo è ancora distante. Dal canto loro gli Stati Uniti, pur avendo inizialmente firmato il Protocollo, si sono successivamente rifiutati di ratificarlo, prendendo così le distanze dagli obiettivi fissati dall’accordo.

Uno dei risultati più incisivi raggiunti grazie al Protocollo di Kyoto è stata l’istituzione, a livello internazionale, del primo sistema di “crediti di carbonio”, che l’Unione Europea ha adottato a partire dal 2005. In base a questo sistema, ad ogni industria inquinante viene dato il permesso di emettere una quantità limite (“quota”) di anidride carbonica, vale a dire il gas serra più diffuso. Nel caso le emissioni di gas serra da parte di un’industria superino il valore della quota assegnata, detta industria ha la possibilità di acquistare ulteriori quote, impegnandosi nel contempo a compensare l’eccesso di emissioni attraverso, ad esempio, la piantagione di alberi in uno dei paesi sottosviluppati del mondo. Al contrario, alle industrie le cui emissioni sono inferiori alle quote assegnate, viene data la facoltà di vendere la quantità residua ad altre società.

Inizialmente il Brasile si oppose al sistema delle quote limite di emissione. Da un lato, infatti, l’orgoglio nazionale dei brasiliani impediva loro di accettare che altri paesi si arrogassero il diritto di decidere su come comportarsi con le proprie foreste, dall’altro una simile soluzione andava ad urtare i forti interessi di agricoltori, allevatori e commercianti di legname. Il Paese rivide radicalmente la propria posizione a seguito della Conferenza ONU sul cambiamento climatico, svolta a Nairobi nel 2006, in occasione della quale il governo brasiliano suggerì l’istituzione di un fondo internazionale da destinare al Paese come contropartita al contenimento della deforestazione entro i livelli stabiliti. Così, semplicemente attraverso la conservazione delle proprie foreste, il Brasile spera di conseguire un guadagno rendendo un servizio nell’interesse del resto del mondo.

Esistono tuttavia altre ragioni a motivo della conservazione delle foreste pluviali amazzoniche. Queste risiedono innanzi tutto nella loro straordinaria biodiversità. Le foreste amazzoniche, infatti, accolgono un’incredibile varietà di specie animali e vegetali, che supera di gran lunga quella di ogni altro ecosistema esistente. Ne sono esempio le 45.000 specie di piante superiori che popolano la foresta tropicale e che rappresentano quasi il 20% delle specie complessivamente note alla scienza (circa 250.000). Oltre ad avere un valore commerciale incalcolabile per il Brasile, un tale patrimonio naturale rappresenta anche una fonte indispensabile per la produzione di medicinali e sostanze chimiche impiegati in ogni parte del mondo. Quasi un quarto delle sostanze medicinali commercializzate nei paesi industrializzati contiene sostanze estratte dalle piante delle foreste brasiliane. Oltre al caucciù, alla manioca, al cacao ed a varie piante utili per la produzione di antimalarici e antitumorali, tra le varie specie vegetali e animali presenti nella foresta amazzonica si potrebbero celare cure ancora inesplorate per malattie quali l’AIDS, il tumore al seno o il comune raffreddore stagionale. La distruzione di una tale ricchezza biologica rappresenterebbe pertanto una perdita inestimabile.